Il sentiero dei nidi di ragno, di Italo calvino (recensione)

TITOLO: Il sentiero dei nidi di ragno

AUTORE: Italo Calvino

CASA EDITRICE: Mondadori

NUMERO DI PAGINE: 196

Siamo in Liguria, negli anni della resistenza e della lotta partigiana. La particolarità di questo libro, è che questa lotta viene vista attraverso il filtro degli occhi di Pin, un bambino che, in fin dei conti, cerca solo un po’ di attenzioni. Ma non è semplice, perché Pin è troppo grande per stare con i bambini, ma troppo piccolo per stare con i grandi. Per questo cerca di entrare nel mondo adulto passando il tempo con gli uomini dell’osteria, con cui canta canzoni di cui non conosce il significato e parla usando parole sconce di donne e pistole.

Chi ha una pistola vera dovrebbe fare dei giochi meravigliosi, dei giochi che nessun ragazzo ha fatto mai, ma Pin è un ragazzo che non sa giocare, che non sa prender parte ai giochi né dei grandi né dei ragazzi.

Pin è un bambino cresciuto senza amore, dato che era orfano di madre e il padre non lo vedeva mai. Per questo era abituato a dire solo cattiverie, e la gentilezza, data e ricevuta, non l’ aveva mai capita fino in fondo.

La gente buona ha sempre messo in imbarazzo Pin: non si sa mai come trattarli e si ha voglia di far loro dei dispetti per vedere come reagiscono.

Per una serie di fatti Pin si ritrova in mezzo alla resistenza. Questo libro descrive in modo, se pur diverso, la lotta partigiana a mio parere molto bene. Una lotta che ognuno combatte con ideali diversi e per motivi diversi, disseminando l’idea del partigiano eroe senza paura.

Non hanno bisogno di ideali, di miti, di evviva da gridare. qui si combatte e si muore così, senza gridare evviva.

I personaggi sono tutti ben articolati. Forse il personaggio che mi ha colpito di più è Kim, che, nel capitolo nove, mi ha completamente catturata. Devo ammettere che prima di questo capitolo il libro non mi aveva presa molto, non so precisamente il motivo.

Il sentiero dei nidi di ragno è il primo romanzo di Calvino, di cui avevo letto anche Marcovaldo. Ho notato molte differenze nel suo stile, ma alcuni tratti rimangono comunque inconfondibili. Ma anche l’autore, come dice nella prefazione del 1964, non lo vede proprio come un’opera sua:

Che impressione mi fa, a riprenderlo adesso? Più che come un’opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale di un’epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

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