Intervista all’autore: Giuseppe Barbieri

Giuseppe Barbieri è un giovane autore esordiente, che con il suo romanzo The eyes of the machines è riuscito a trasportarmi nel futuro, precisamente nel 4921, in un mondo distrutto a causa dei cambiamenti climatici e popolato da uomini e macchine, e anche a farmi divertire insieme ai protagonisti, Fey, Alaska e Halphie. Trovate la mia recensione qui.

Oggi, con questa breve intervista, parleremo insieme a lui del suo romanzo!

1. Come nasce l’idea di raccontare un futuro come quello di The eyes of the machines? Ti sei ispirato a qualcosa?

Iniziò tutto per caso, circa tre anni fa. Già da tempo mi balenava l’idea di voler raccontare qualcosa, qualunque cosa. Ma non avevo l’ispirazione. Perciò iniziai ad abbozzare qualche idea, senza però ottenere nulla che riuscisse a catturarmi. In contemporanea a ciò, in quegli anni gestivo insieme ad un gruppo di ragazzi un portale dedicato ai videogiochi (poiché spesso e volentieri dedico del tempo anche a quelli, essendo stati il mio primo amore), e mi capitò di scrivere qualche articolo su un videogioco: NieR: Automata.

Dopo aver avuto il piacere di provarlo in anteprima (poiché il publisher me l’affido per recensirlo), mi lasciò un grosso retaggio morale. Così, tempo dopo, tornai su quelle bozze, e partendo dal concept che avevo appreso in Automata, provai a scrivere quel che ora si chiama The Eyes of the Machines. Ovviamente è giusto precisare che non si tratta di una sua copia, è tutto un mondo a sé che può forse sfiorarsi con quella sua atmosfera, ma mai toccarsi.

Per quanto riguarda la scelta narrativa, inizialmente era tutto molto vago, non sapevo cosa volevo raccontare. Poi per un momento ho provato a soffermarmi sulla società di oggi… da lì in poi non ci sono più stati dubbi, con The Eyes of the Machines voglio affrontare il mondo, nello specifico il genere umano.

2. Quale sottotitolo daresti al tuo romanzo?

Un sottotitolo eh… Ho provato a pensarci, ed è piuttosto complesso sceglierne uno, almeno per questo primo capitolo. Per i prossimi più o meno un’idea c’è. Il fatto è che fino ad oggi non mi ci sono mai soffermato. Da sempre mi sono giocato tutto sul titolo, per me ha anche un valore simbolico: in italiano sta letteralmente per “Gli occhi delle macchine”, e in un certo senso anche noi umani, come ricordava anche Lyuk, siamo un po’ come delle macchine, no? E la cosa potrebbe trarre in inganno perché, essendoci questa sottospecie di robot all’interno della storia, si può pensare che il titolo sia riferito principalmente ad essi, mentre invece…

Scegliere questo titolo è stato quasi spontaneo perché molto spesso, crescendo, ho selezionato le persone da frequentare in base al loro modo di guardare, come si suol dire: “Gli occhi sono lo specchio dell’anima”, proverbio che però va messo in discussione perché, molto spesso, proprio chi crediamo ci sia amico, invece ci da le spalle.

Fidarsi di questo aneddoto non è di certo la soluzione migliore, anche se personalmente il più delle volte mi ci sono trovato bene… Il problema piuttosto è fidarsi. E in questa saga che vorrei plasmare nel corso degli anni a seguire, vorrei raccontare anche questo, dei pro e dei contro nel fidarsi di qualcuno perché, si sa, le persone nel bene e nel male non smettono mai di sorprendere. Ma tornando al punto di inizio, se dovessi scegliere un sottotitolo, proporrei qualcosa come: “Al di la del bene e del male”, che tra l’altro è anche la trascrizione in italiano di un mio vecchio videogioco preferito.

3. Un autore caratterizza i propri personaggi fino a farli diventare reali, come hai fatto tu. Ma ora invertiamo i ruoli: fai conoscere ai possibili nuovi lettori di The eyes of the machines i protagonisti – Fey, Alaska e Alphie – dicendoci come loro descriverebbero in una manciata di parole te! Insomma, se ti incontrassero, ognuno di loro cosa direbbe del suo creatore?

Del Giuseppe creatore mi manderebbero tutti e tre a quel paese, per come sono state inscenate alcune situazioni nella storia.
Mentre sul Giuseppe persona, vediamo…

Alaska potrebbe dire che sono fin troppo serio, che penso troppo e che guardo ogni cosa a 360° mentre dovrei lasciarmi andare ai piaceri della vita piuttosto che preferire il più delle volte la mia sola compagnia.
Con Fey penso che io possa avere qualche speranza di giudizio più nobile: direbbe che sono una persona molto colorata e profonda quando serve, questo spiegherebbe poi la mia serietà contestata da Alaska. Qualsiasi dubbio sia: non smetto di pensarci finché non ne vengo a capo.
Mentre Halphie mi darebbe dell’idiota, che a furia di pensare faccio passare la voglia di vivere e che annoierei il gruppo se una sera uscissimo tutti insieme.

4. Quale è stata la tua maggiore difficoltà durante la stesura del libro?

Le macchine, la loro psicologia e quella dei personaggi.
Nella primissima stesura era tutto molto dispersivo, le macchine agivano senza criterio, senza alcuna spiegazione, non avevano particolari caratteristiche che le contraddistinguevano. Stesso discorso per alcuni personaggi, in particolar modo Fey. Lei è nata come personaggio criptico fin dall’inizio, ma il dover spiegare tale cripticità non mi ha reso le cose facili. Mi serviva un profilo, un suo passato. Perciò mentre scrivevo la storia, dovevo scrivere al contempo la storia del suo passato nella mia testa, il che non è stato facile perché, come avrai notato, è particolare e forse anche incoerente come personaggio. E mentre badavo a lei, dovevo occuparmi della psicologia matematica delle macchine, per poi passare agli aspetti degli altri personaggi.

Ad aggravar le cose è stata anche la coerenza narrativa: molti passaggi ho dovuto annotarli e riportarli ai capitoli successivi, molto spesso ho dovuto modificare alcuni di questi con la conseguenza che compiendo anche la più piccola modifica narrativa, essendo tra loro collegati, c’era il rischio di tralasciare il vecchio sul nuovo o viceversa. Sono stati 3 anni piuttosto ardui, e la storia è stata riscritta più volte perché di volta in volta alcuni aspetti maturavano. Perciò bisognava abbattere quelli vecchi per far posto ai nuovi.

Con Zeph invece è stato facile, forse perché solitamente è più semplice mettersi nei panni del cattivo che del buono proprio perché il cattivo non pensa, non si fa scrupoli su chi ha davanti, agisce e basta, perciò con lui è stato un continuo lasciarsi andare. E devo ammettere che mi è piaciuto vestire i suoi panni, seppur anche con lui ho dovuto ricreare tutto un percorso antecedente per definire lui e le sue azioni.

5. Quale canzone assoceresti a The eyes of the machines? E perché?

Ce n’è più di una in realtà. Ma mi limiterò alle prime due, usate come mezzo d’ispirazione. La prima è The Weight of the World, canzone presente in NieR: Automata, questa è di certo la più vicina al libro. Già solo il titolo dice molto: Il peso del mondo. Poi ci sono alcuni riferimenti del testo, come quando si interroga Dio per chiedersi se tutto ciò è una sua punizione. Oppure quando chiude il ritornello dicendo che se si continua a credere nei propri sogni, forse questi un giorno si avvereranno.
In sintesi mi piace perché è si una canzone malinconica, ma al contempo porta speranza.

Poi un’altra che mi è stata molto vicina nelle ultime fasi di scrittura è stata una canzone dei CHVRCHES, Timefall. Mi piace perché nella sua melodia dinamica ed esplosiva porta una messaggio di forza: cioè quello di restare insieme nonostante le avversità, e di tenersi per mano e continuare a lottare per vedere il domani. Cosa divertente è che anche questa canzone è tratta da un videogioco che ho di gran lunga apprezzato, vale a dire Death Stranding. Ce ne sarebbero anche altre, ma mi fermo qui, altrimenti ne verrebbe fuori una playlist.


L’intervista si conclude qui. Ringrazio infinitamente Giuseppe per aver accettato, e per le sue splendide parole e per il suo tempo!

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